Dall’ INNSE. A proposito della decisione di ratificare o meno il licenziamento di 3 operai. E altro ancora.
Ieri un operaio della INNSE (1) è andato al tribunale di Milano perché aveva impugnato il suo licenziamento, avvenuto per lui – al pari di altri due operai e una impiegata – in un modo piuttosto inusuale. Tre giorni dopo essere rientrati dalla CIGS – durata 1 anno – sino al 28 febbraio u. s. (2) uno ha ricevuto la lettera di licenziamento a casa; ad un altro gli è stata consegnata quando si è presentato in azienda; ad un terzo è stato detto che era licenziato impedendogli l’accesso in fabbrica (uno di questi trattamenti è stato riservato anche all’impiegata).
Un altro operaio lo aveva preceduto in tribunale il 29 agosto. Era Massimo Merlo, uno dei 4 operai che salirono sul carroponte nell’agosto del 2009 e che oltre ad avere difeso i macchinari negoziarono il rientro di tutto il personale in azienda (vd.); cosa che avvenne nell’autunno/inverno del 2009.
I due diversi giudici del lavoro non hanno emesso una sentenza definitiva: ovvero non hanno confermato il licenziamento dei due operai. In un caso l’uno si è riservato di interpellare i suoi colleghi per giungere a una conclusione omogenea per le tre impugnazioni – l’impiegata, l’unica ancora presente in azienda, ha conciliato innanzi al giudice la sua buonuscita – l’altro giudice ha recepito la documentazione presentata dagli avvocati circa il comportamento vessatorio nei confronti dei delegati sindacali e si è riservato la facoltà di decidere.
Martedì 12 settembre ricomparirà – per una seconda udienza – un altro degli operai licenziati. Qui la situazione è per certi versi più complessa o più semplice, a seconda dei punti di vista. Il licenziato è Vincenzo Acerenza, rappresentante RSU, anch’egli salì sul carroponte nel 2009. E qui da un punto di vista giuridico il fatto stesso che sia un delegato sindacale lo avrebbe dovuto maggiormente tutelare rispetto alla volontà aziendale di licenziarlo. Ma questa questione non è stata ancora considerata dal giudice il quale nel dibattimento gli ha domandato perché avendo lui 68 anni non accettava quanto gli offriva l’azienda per accompagnarlo alla pensione. E comunque ha osservato che era nella facoltà dell’azienda sostituire la sua figura professionale anche con manodopera esterna.
Come detto ha rimandato al 12 settembre una possibile decisione.
In ogni caso è nei fatti che l’azienda ha operato in termini discriminatori nei confronti degli operai: essi sono stati in passato tutti delegati sindacali, e uno lo è ancora. (Per la precisione degli altri due che salirono sul carroponte uno non è più in azienda – perché pensionato – e l’altro non è stato coinvolto in questa tornata di licenzamenti, ed è in CIGS).
Come già vi riferimmo nell’agosto scorso (vd.) gli operai superstiti dei 49 dipendenti riassunti dalla INNSE di Camozzi ora sono rimasti 24+ 3 (quelli che hanno impugnato il licenziamento).
E come detto sono in presidio permanente dal lunedì successivo al licenziamento dei loro colleghi Prima della chiusura di agosto solo 6 lavoravano, gli altri erano in CIGS.
Al rientro dalle ferie vi sono state alcune novità.
La prima è che sul cancello della fabbrica l’azienda ha affisso un cartello nel quale viene indicato che procederà, e lo sta facendo – salvo possibili interruzioni/ripensamenti -, alla ristrutturazione degli uffici.
Singolare scelta aziendale. Ha licenziato l’unica impiegata che aveva in organico e ora procede, dopo che lo aveva promesso nel 2010, alla ristrutturazione degli uffici ben guardandosi da mettere mano al capannone disattendendo con ciò i suoi stessi piani di rilancio e sviluppo dell’attività.
La seconda è che dopo la chiusura per ferie aziendale (3 settimane) gli 8 operai comandati a lavorare hanno informato l’azienda che se non veniva ripristinata la mensa loro avrebbero incrociato le braccia: l’azienda ha ripristinato la mensa per loro. (Forse per farsi benvolere e metterli in conflitto con quelli che fuori dalla fabbrica presidiano).
La terza è che contrariamente a quanto più volte annunciato una delle due nuove macchine che avrebbero dovuto essere installate non è ancora compiutamente installata.
La quarta è che non c’è. Durante il dibattimento in tribunale è stata sollevata la questione dell’agibilità della RSU e dell’obbligo contrattuale per il quale l’azienda deve metta a disposizione un locale perché i lavoratori possano riunirsi.
Nelle more della discussione poiché la RSU ha sostenuto che c’è una sede storica e quella deve essere riconfermata e gli avvocati dell’azienda hanno detto che invece la RSU doveva riunirsi in mensa il giudice ha detto alle parti di trovare una mediazione (la RSU ha indicato un altro spazio). Ma ora come ora lavoratori e RSU si ritrovano sul marciapiede!
Un trattamento che non viene riservato nemmeno ai cani
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1) A un anno esatto dall’accordo sottoscritto dalla Fiom nazionale e territoriale al Ministero dello sviluppo economico (vd.) ma non approvato dalla totalità dei lavoratori quando è stato loro sottoposto a referendum (vd.).
2) Una CIGS che il sindacato FIOM CGIL aveva dichiarato illegittima perchè non controfirmata dalla RSU. Una CIGS che poi stata nuovamente richiesta a decorrere dal 24 aprile (anch’essa non controfirmata dalla RSU con l’avvallo della CGIL) per la durata di 11 mesi, perché l’azienda non poteva chiedere un numero superiore di settimane.