Il 29 settembre u.s. presso il Tribunale di Milano – Sezione Lavoro Civile si è svolta la III° udienza che vedeva contrapposti Massimo Merlo ricorrente contro la INNSE Milano resistente. La questione dibattuta era relativa al licenziamento intimato dalla INNSE Milano a Massimo Merlo (1).
Con sentenza depositata il 02/10/2017 n.rg. 6208/2017 il Tribunale ordinario di Milano – Sezione Lavoro Civile, nella persona del giudice dott. Fabrizio Scarzella, ha emesso la seguente ordinanza:
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dichiara ingiustificato e, pertanto illegittimo il licenziamento intimato al ricorrente con comunicazione del 3.3.2017 e per l’effetto dichiara risolto il rapporto di lavoro alla data di efficacia del licenziamento e condanna Innse Milano spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a corrispondere al ricorrente una indennità risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre al rimborso dei compensi professionali liquidati in complessivi euro 2500,00, oltre accessori di legge;
restanti spese compensate tra le parti.
Di seguito riproduciamo la sentenza riservandoci di commentarla anche in considerazione del fatto che la INNSE ha proceduto a licenziare, con le stesse modalità, Massimo Merlo, Dario Comotti (convocato per il 6 ottobre c.a. in Tribunale) e Vincenzo Acerenza (convocato per il 14 novembre c.a. in Tribunale).
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1) Massimo Merlo il 4 marzo u. s. ha ricevuto una raccomandata nella quale la INNSE di via Rubattino gli comunicava il suo licenziamento perché non aveva più bisogno della sua figura professionale: il collaudo d’ora sarebbe stato effettuato dagli operatori macchina. Ma ciò non corrisponde al vero perché a tutt’oggi coloro che stanno lavorando in azienda (12 persone) non effettuano tale controllo.
Ma il suo licenziamento, secondo la tesi difensiva sostenuta dai suoi avvocati, oltre ha non avere una motivazione fondata su fatti aveva una motivazione sindacale.
Massimo Merlo è uno dei 4 operai salito sul carroponte nell’agosto del 2009. Era uno di coloro che avevano dettato alla politica, ai sindacati, a chi voleva comperare l’azienda le condizioni dell’accordo: semplici e irrinunciabili. Chi comperava doveva riassumere tutti i lavoratori e rilanciare l’azienda garantendo la continuità produttiva del sito di via Rubattino. Il compratore, Attilio Camozzi, sottoscrisse quel patto e fece anche mettere una clausola in cui si impegnava a mantenere sino al 2025 l’attività produttiva propria del sito.
Massimo Merlo all’epoca fu il fautore di quell’accordo, insieme ai suoi compagni che salirono sul carroponte, e di conseguenza si è sempre ritenuto moralmente il garante dello stesso.
Durante la prima udienza tenutasi al Tribunale del Lavoro di Milano il giudice chiese alle parti di cercare una conciliazione tra loro. Addirittura si spinse a suggerire all’azienda di proporre al Merlo la riassunzione dello stesso sino alla data del suo pensionamento, che dovrebbe avvenire il I° ottobre del 2018, previo impegno scritto da quest’ultimo a non opporsi al pensionamento in tale data.
L’azienda, tramite il suo avvocato, nell’udienza successiva, ha ribadito la volontà di procedere al licenziamento; ha dichiarato che all’interno del Gruppo Camozzi non vi era possibilità di reimpiego dello stesso e ha nuovamente offerto al Merlo una buonuscita.
Il Merlo ha rifiutato l’offerta economica per le ragioni sopra dette e anche perché in cuor suo è preoccupato per la sorte che potrebbe toccata ad alcuni operai che rientreranno in azienda, a marzo dell’anno prossimo. Se accettava il licenziamento, con la motivazione addotta dall’azienda, costoro potrebbero sentirsi dire guardate che: il Merlo ha preso un incentivo ed è andato in pensione. Noi abbiamo venduto la macchina su cui lavoravate e poiché all’interno dell’azienda non v’è alcuno idoneo a svolgere la funzione del Merlo siamo costretti a licenziarvi.
Nella terza udienza, tenutasi venerdì u. s., il giudice ha dato mezz’ora di tempo agli avvocati: quello della ditta Camozzi ha riconfermato le posizioni già espresse; quelli del Merlo oltre a sostenere nuovamente la motivazione che il licenziamento era da ritenersi fondato su motivazioni antisindacali hanno nuovamente sostenuto che la procedura di licenziamento era viziata dal fatto che non erano state rispettate quanto previsto dalla legge Fornero. L’azienda avrebbe dovuto comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro che aveva degli esuberi e pertanto voleva procedere a dei licenziamenti. La Direzione Territoriale del Lavoro convocate le parti verificava la fondatezza di quanto affermato dall’azienda e se vi è la possibilità di trovare un accordo. E se non trovato il licenziamento diveniva esecutivo e il lavoratore aveva la possibilità di richiedere e ottenere l’indennità di disoccupazione NASpl. Ma così non è stato.
Nota
Per capire meglio la storia di questo licenziamento avvenuto nei confronti di un lavoratore che a ottobre dell’anno prossimo sarebbe dovuto andare in pensione abbiamo scritto una cronologia sull’azienda in cui lavora: INNSE via Rubattino