7 marzo 1944 LABO’ GIORGIO

Giorgio LabòLabò Giorgio. Nasce a Modena, il 29 maggio 1919. Dopo il liceo classico si iscrive alla Facoltà di Ingegneria di Genova per poi passare alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. A Milano frequenta gli ambienti artistici e letterari d’avanguardia e entra a fare parte del gruppo di Corrente.
Collabora alle riviste Corrente, Campo di Marte e ai quotidiani Il Secolo XIX di Genova e Il Resto del Carlino di Bologna, con scritti di critica d’arte e di architettura. Si dedica a una monografia su Alvar Aalto, pubblicata postuma nel 1946, a cura del padre, e a una su Antonio Sant’Elia, rimasta inedita. Prima dell’8 settembre 1943 è militare a Poggio Mirteto, nel Genio Artificieri, dopo entra nelle formazioni partigiane che operano nell’Alto Lazio e compie azioni di sabotaggio. A Roma si unisce ai Gap (Gruppo di Azione Patriottica).GIORGIO LABO' Insieme a Gianfranco Mattei in via Giulia, 23 bis, prepara ordigni esplosivi. In quella casa, a seguito di una delazione, il 1° febbraio 1944, viene, con Mattei arrestato dalle SS tedesche e trasferito nel carcere di via Tasso. E’ torturato. Il 7 marzo 1944 viene fucilato a Forte Bravetta.
Alla memoria gli è stata conferita la medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
Formatosi ad una pura fede antifascista, sergente del genio minatori, combatté strenuamente l’8 settembre 1943 contro il tedesco invasore. Accorreva quindi nelle file partigiane, compiendo innumerevoli ed audaci azioni di sabotaggio. Distruggeva, fra l’altro, un treno e un ponte ferroviario. Entrato nell’organizzazione militare del partito comunista italiano, diveniva a Roma l’animatore instancabile dei gloriosi G.A.P. centrali. Tecnico espertissimo del sabotaggio, costituiva nel cuore stesso della città un laboratorio per la costruzione dei mezzi più efficienti d’offesa con i quali riforniva i suoi reparti d’assalto. Caduto nelle mani delle SS. tedesche, resisteva con incrollabile fermezza alle torture più atroci per più di un mese. Legato mani e piedi ininterrottamente da strettissimi vincoli che fecero in breve tempo incancrenire i suoi polsi, con le ossa fracassate ed il volto disfatto dalle percosse, ad ogni intimazione dei carnefici rispondeva: « Non lo so e non lo dico. Viva l’Italia! ». Condannato senza processo alla pena capitale, cadeva serenamente sotto il piombo tedesco. Palidoro, settembre 1943 – Poggio Mirteto, ottobre 1943 – Roma, novembre 1943-marzo 1944.
Il Politecnico di Milano lo ha proclamato honoris causa dottore in architettura.
Nel 2011 Pietro Boragina ne ha scritto la biografia.

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