Finanziò, tra l’altro, l’edificazione del Kremlino.
Recentemente ho saputo che Luigi Ronzoni (1881 -1945) è stato un industriale tessile e un filantropo che, tra l’altro, finanziò la realizzazione del palazzo, in via Colombo 81, noto a tutti gli abitanti della zona 3 come il Kremlino. Lo fece edificare in memoria della madre Giuliana, donna pia e caritatatevole, che in vita ebbe 14 figli dal marito Giuseppe e Luigi Ronzoni era l’ultimo della nidiata. (Per inciso ricordo che un altro membro della nidiata è stato Gaetano Ronzoni (1878 – 1940) pioniere nella lotta antitubercolare).
Ho ritrovato un ritratto dell’uomo, delle opere pie da lui compiute e delle idee guida che stavano alla base del suo agire in un articolo dal titolo Un uomo che regala milioni comparso sul Corriere della sera, il 21 giugno del 1922, a firma di u. t., a pagina 4.
In esso vengono elencate una serie di atti munifici che il Ronzoni fece nell’arco degli ultimi 3-4 anni per un totale di circa 7 milioni di lire.
E dopo quell’articolo per certo non si fermò nel prodigarsi. Prova ne è che dal 1924 al 1927 finanziò con 4 milioni la realizzazione del Kremlino. Questa informazione l’ho tratta da un dotto articolo, reperibile su internet, di Ornella Selvafolta dall’intrigante titolo: A «casa del diavolo!». Gadda, Città Studi e il Kremlino. Non mi sono trattenuto e pur consapevole di avere fatto un torto a Gadda e all’autrice – ai quali chiedo venia – ho attinto da esso la totalità delle informazioni e delle illustrazioni sul Kremlino, che di seguito riporto.
… nel dicembre del 1924 l’ingegnte Vittorio Molinari (figlio di Ettore Molinari (1867 -1926) chimico e anarchico), in rappresentanza della Società per la sede dell’Istituto di Chimica Industriale ‘G. Ronzoni’, presentò domanda all’Amministrazione Comunale per costruire un fabbricato destinato a Scuola di Chimica Industriale, formato da Aule di Insegnamento, Laboratori Chimici di ricerche e di analisi, Laboratori di Prove Chimiche di carattere industriale, nonché da appartamenti ad uso abitazione. La costruzione avrà una ossatura in cemento armato studiata dallo strutturista Arturo Danusso, mentre il progetto architettonico sarà opera dell’architetto Giacomo Carlo Nicoli di Genova.
Contestualmente Molinari inoltrò anche la richiesta di esenzione dal pagamento del dazio sui materiali da costruzione, specificando che l’Istituto sarebbe sorto grazie alle esclusive elargizioni e donazioni del Sig. Luigi Ronzoni; che per l’acquisto del terreno, materiali e macchinario, laboratori, vetrerie ecc. si era già spesa la somma di due milioni di lire, mentre la sola costruzione del fabbricato principale e arredamento dei laboratori ne avrebbero richiesto almeno altrettanti. Aggiunse poi che, pur essendo l’istituto collegato al Politecnico e all’Università degli Studi, avrebbe avuto vita propria senza sovvenzioni e che la somma risparmiata sarebbe servita per aumentarne la dotazione.
Tra il gennaio e l’agosto del 1925, il progetto, sempre a firma di Molinari e Nicoli, fu modificato e gradualmente si avvicinò alla soluzione realizzata.
Al disegno originale dell’edificio, con fronte lineare e retro contraddistinto da tre grandi corpi ricurvi, ad abside o a esedra, vennero aggiunti due corpi laterali a un piano, per ospitare i laboratori più industriali e con i macchinari più pesanti; i 3 piani più il sottotetto diventarono 5 più sottotetto, al fine di incrementare il numero degli alloggi da cedere in affitto e di meglio garantire le possibilità di sussistere con vita propria senza sovvenzioni; alla sommità lievitano due cupole con guglie a mo’ di lanterne, alte, aguzze e sormontate da parafulmini. Negli interni si precisano gli spazi di lavoro e di studio che dal basso verso l’alto contengono magazzini e depositi, cabina elettrica, impianto di acqua potabile ed industriale, caldaie e sale macchine; laboratori di varia grandezza, sale di prova e sale prodotti, aule scolastiche in parte alloggiate nelle esedre, uffici, biblioteca, archivio e, negli ultimi piani, le abitazioni.
Le trasformazioni sono accompagnate dall’inoltro di carte e relativi disegni, dai quali si desume che sin dall’inizio l’istituto Ronzoni era stato concepitocome un’architettura maestosa, un palazzo di classicismo poderoso e venato da accenti manieristi, già più alto e imponente di tutti gli altri edifici di Città Studi; sontuoso non tanto per il lusso di materiali e dettagli, quanto per il decoro e l’autorevolezza dell’immagine complessiva. Le aggiunte successive accentuano tali aspetti e portano a una monumentalità del tutto inedita per questa tipologia di edifici e per questa parte di città, mostrando nel contempo, da parte dell’architetto, anche alcuni aggiornamenti di gusto, in aderenza al linguaggio Déco che, in quegli stessi mesi, stava trionfando all’Exposition des Arts Décoratifs et industriels modernes di Parigi del 1925.
Niente tuttavia vale a contraddistinguere il fabbricato quanto le cupole poste alle due estremità laterali della copertura. Le cupole inesistenti fino al maggio del 1925 furono aggiunte per motivi funzionali. Così scrive Molinari all’Ufficio tecnico del Comune di Milano: La costruzione di due cupole in cemento armato […] e relative guglie a uso sfiatatoi è dovuto a una necessità per lo speciale scopo dell’Istituto. Il bisogno di aspirare da tutti i laboratori anche i gas e vapori pesanti, che non sarebbero smaltiti con semplici caminetti a tiraggio naturale, ha imposto il funzionamento di un tiraggio forzato nei diversi laboratori per mezzo di ventilatori da installarsi nelle sottocupole e smaltire i gas a conveniente altezza per non recar danno o noia alle abitazioni sottostanti. Al posto di due ciminiere o camini in mattoni o in ferro, antiestetiche specie nella zona di Città degli Studi si è studiato di armonizzare le necessità dello speciale uso con la linea del fabbricato, installando le due guglie ad uso sfiatatoi.
Alla lettera è allegato il disegno di due cupole a costoloni culminanti in guglie disegnate come lanterne barocche. Ma, si specifica, non essendo altro che un completamento della costruzione, si sarebbe stati disposti a variare la loro linea o forma come meglio crederà la Commissione. Non sarà infatti questo il disegno adottato, che prediligerà una soluzione più semplice, con calotte prive di costolature da rivestire in rame, segnate alla base da una corona di finestre triangolari e terminanti in “lanterne” ad andamento cuspidale, traforate da strette aperture sovrapposte.
Nella stessa pratica edilizia una fotografia del palazzo in costruzione rivela la struttura in cemento armato calcolata dall’ingegnere Danusso: una grande intelaiatura con sostegni verticali ottimizzati nel numero e nelle dimensioni per liberare lo spazio e consentirne gli usi più flessibili, un reticolo a maglie sempre più larghe mano a mano che si sale, una gabbia solidissima e “trasparente” che si proietterà all’esterno con grandi finestre e accoglierà all’interno ambienti di lavoro, di studio e di abitazione, trasformabili e diversamente aggregabili grazie alla scarsa presenza di muri portanti.
L’opera ottenne il nulla osta per l’agibilità nel luglio del 1927…
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