A proposito della INNSE di via Rubattino 81 e delle lotte dei suoi lavoratori per mantenere il posto di lavoro.
Nel 2008 un imprenditore di nome Silvano Genta, padrone della INNSE di via Rubattino 81, con atto d’imperio scrisse ai dipendenti un telegramma nel quale li informava di avere aperto una procedura di mobilità perchè avrebbe chiusoi l’azienda.
Gli operai decisero di occupare la fabbrica; iniziarono una lotta che si protrasse per mesi ed ebbe momenti di alta tensione quando, ad esempio, il Genta tentò, nottetempo, di fare uscire dalla fabbrica 7 macchinari.
I lavoratori bloccarono i cancelli e la fabbrica o meglio, dimostrarono nei fatti, autogestendola, che contrariamente a quanto sostenuto dal Genta vi erano commesse e materiali per continuare la produzione: la chiusura e la messa in liquidazione della fabbrica non avevano giustificazione alcuna.
Il 4 agosto del 2009 gli operai, al fine di continuare a salvaguardare il loro posto di lavoro, intrapresero un’azione di protesta clamorosa: quattro di loro salirono sul carroponte dell’azienda e sopesi nel vuoto a un altezza di 12 metri vi rimasere per 7 giorni.
I giornali e le televisioni ne parlarono sino a che il prefetto e anche il Comune di Milano furono costretti a intervenire. Il comportamento del Genta non aveva alcuna giustificazione e quello degli operai stavano diventando un cattivo esempio: altri avrebbero potuto imitarli! Si fece avanti un compratore: Attilio Camozzi, industriale bresciano del ramo. Egli era ingolosito e dalle potenzialità dell’azienda – i suoi macchinari – e dalla professionalità dei suoi dipendenti – avevano saputo autogestirla – e dalla possibilità di spuntare un accordo assai vantaggioso grazie all’interessamento del prefetto e del Comune e alla loro futura riconoscenza.
L’accordo fu presto raggiunto in prefettura. Attilio Camozzi si impegnò ad acquistare sia l’attività produttiva della INNSE con macchinari annessi – 27, compresi i 7 che Silvano Genta aveva tentato di fare uscire dall’azienda – sia la proprietà dei terreni su cui l’INNSE insisteva, allora di proprietà della Società Aedes che – detto per inciso – era anche proprietaria dell’area ex Innocenti e con il Comune aveva fatto già grossi affari ottenendo di edificare una parte di quell’immensa area senza per altro porre mano agli impegni che gli derivavano dagli oneri di urbanizzazione. Ma non solo. Attilio Camozzi, felice come una pasqua, fece inserire nell’accordo una clausola che impegnava l’azienda di cui era a capo a mantenere e sviluppare l’insediamento produttivo sino al 2025.
Tale mossa fu talmente gradita che, come aveva previsto, il Comune, per non essere da meno, negli anni successivi a cortesia rispose con altrettanta cortesia: si impegnò perché all’INNSE del Gruppo Camozzi divenisse proprietaria del terreno di circa 14.000 mq. adiacente ai capannoni – contrariamente a quanto stabilito dal Piano del governo del territorio – che stabiliva come quel terreno doveva diventare spazio verde a beneficio dei residenti del quartiere Rubattino.
Ma poi la storia prese la solita piega dell’italietta nostra. Spenti i riflettori, il Gruppo Camozzi e Aedes hanno innalzano il solito refren: chiagne e fotti mentre la politica ha ricominciato ad affacendarsi in tutt’altre faccende così da disattendere il suo ruolo di garante.
Il Gruppo Camozzi da un lato ha lamentare l’impossibilità di fare investimenti se non otteneva la piena proprietà dei terreno su cui insistevano i capannoni dove si svolgeva l’attività produttiva. E così gli 8 milioni di investimenti promessi e l’aumento della forza lavorativa sono rimasti sulla carta.
L’Aedes proprietaria dei terreni, anche se si era impegnata a cederli entro il 2010 addusse che, a causa della crisi economica, non poteva onorare l’impegno assunto nei termini stabiliti: su quei terreni gravava un’ipoteca: lo onorò nel 2015.
Ancora in vita Achille Camozzi cercò nuove vie che altra non erano se non tentare di modificare la clausola che lui stesso aveva fatto mettere nel patto sottoscritto nel 2009, in prefettura. In pratica conosciuti alcuni docenti del Politecnico si era lasciato convincere che su una parte dello stabilimento avrebbe potuto insediare delle start-up innovative e sulla parte restante poteva elaborare un piano di rilancio aziendale.
La divisione della fabbrica nella versione prospettata ai rappresentanti sindacali era di dividere il capannone con un telo di plastica!
Il 2 ottobre 2015 Attilio Camozzi muore. Alla guida del gruppo subentra il figlio Lodovico che trova sponda nel Comune per portare avanti l’idea del padre.
Infatti il Comune, in data 9 novembre 2015, convoca i delegati sindacali perchè incontrino l’azienda. I lavoratori vanno all’incontro. Ma per nulla affascinati dalle novità prospettate loro fanno presente che la proposta non era in linea con quanto sottoscritto dall’azienda nel 2009. Pertanto il confronto con l’azienda sarebbe avvenuto solo se quest’ultima rimuoveva la pregiudiziale del ridotto o meglio diverso utilizzo della struttura aziendale esistente. Nell’occasione facero altresì presente, a chi li aveva convocati, che contrariamente all’impegno aziendale di aumentare il numero delle maestranze queste erano diminuite.
Il 18 gennaio 2016 Ludovico Comozzi richiede e ottiene con decreto direttoriale del Ministero del Lavoro del 15 giugno 2016, pur in assenza di un accordo sindacale, di mettere xx lavoratori su xx ancora a libro paga nello stabilimento di via Rubattino, in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS).
E nel farlo procede con disprezzo nei loro confronti.Chi non è riesce a raggiungere tramite telefono quando si presenta ai cancelli della fabbrica apprende dalla guardia che presidiava la portineria che erano sospesi dal lavoro.
Per un anno xx lavoratori hanno dovuto vivere con le loro famiglie con 900 euro al mese.
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