7 aprile “IL NOSTRO RAID A SAN BABILA CONTRO I FASCISTI”

La Milano di Capanna tra università e cortei

  • Corriere della Sera (Milano)
  • 7 Apr 2023
  • Di Andrea Senesi

Mario Capanna, 78 anni leader del ‘68 italiano. In seguito anche parlamentare in Democrazia proletaria

Che rapporto ha con Milano?
«Essenzialmente di gratitudine. Intanto Milano mi ha dato tanto in fatto di conoscenza. Studiavo filosofia e ho avuto grandissimi maestri. Cito solo Emanuele Severino e Francesco Alberoni in Cattolica e Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra in Statale. E poi la conoscenza pratica del mondo grazie a un movimento che in quegli anni intendeva davvero cambiare il corso della storia. Le due sfere si fondono in un episodio, in carcere».

Racconti.
«Quando nel 1969 fummo arrestati in 14, Geymonat e Dal Pra vollero dare un segnale pubblico entrando a San Vittore per permetterci di sostenere l’esame. I secondini vennero arruolati come pubblico e fecero da testimoni all’effettiva regolarità della prova».

Com’era la Milano di allora?
«Una città viva, dove le idee si mettevano a camminare sulle gambe di migliaia di persone. Una città che macinava futuro».

Dove viveva in quegli anni?
«Dopo l’espulsione dal collegio della Cattolica mi sono ritrovato praticamente in mezzo alla strada. Vivevo dove capitava, soprattutto da amici o compagni che mi ospitavano».

E dalle fidanzate…
«Molte meno di quanto si creda. Eravamo sempre presi a scrivere mozioni o a preparare cortei…».

Un luogo che ricorda con particolare piacere oltre ovviamente alla Statale?
«Palazzo Marino. Ci andavamo spesso. Col sindaco Aniasi c’era un rapporto stretto. Ci ascoltava, anche se non sempre condivideva. Non a caso era uno che aveva fatto la Resistenza».

E San Babila, la piazza del «nemico»?
«Per noi era davvero un luogo infrequentabile. Bastava un giornale sbagliato che spuntava dalla tasca per far scattare l’aggressione delle bande fasciste. Questo fino al maggio del 1970».

Cosa successe allora?
«Decidemmo di “liberare” la piazza. Organizzammo un raid con trecento compagni del nostro servizio d’ordine che sbucarono all’improvviso in piazza dalle scale del metrò. I fascisti conosciuti come i più facinorosi furono anche i più svelti a darsela a gambe».

Torna spesso in città?
«Torno per trovare mio figlio che fa l’avvocato e per qualche rimpatriata. Due volte l’anno ci vediamo per una mangiata tra vecchi “combattenti”. L’ultima volta eravamo una quarantina».

E le piace Milano ora?
«Mi sembra che non abbia più la vitalità e la generosità di un tempo. Poi c’è la bomba speculativa del prezzo degli alloggi, la gente se può cerca casa fuori».

Eppure la sinistra vince
Solo nelle città e Milano è una delle capitali del Pd…
«Il Pd vince soprattutto in centro, a ulteriore dimostrazione del fatto che di sinistra in quel partito è rimasto ben poco».

E del sindaco Sala cosa pensa?
«Che era un bravo manager».

Ambientalista da trent’anni, che opinione ha di Area B e Area C?
«Pannicelli caldi. Mi impressiona invece il fatto che non ci siano più spazi per piantare alberi».

Ricorrono ora i 50 anni dalla morte di Roberto Franceschi e dal vostro processo per il sequestro del rettore Giuseppe Schiavinato.
«L’omicidio di Roberto è un dolore fortissimo ancora oggi. Al funerale partecipò tutta la città, Aniasi e Craxi compresi, per dire della forza del movimento. Il rettore, dopo il suo ferimento, non ci volle concedere l’aula magna per l’assemblea. Andammo in delegazione nel suo ufficio e lui ci denunciò poi per sequestro di persona».

Le manca Milano?
«Mi manca quella Milano».

Direbbe ancora che sono stati anni formidabili?
«Noi ci siamo soprattutto divertiti un casino. Altro che droga o alcol, non c’è paragone».

C’è qualcosa di cui si pente? Un piccolo rimorso almeno?
«Il nostro settarismo di allora. Ha tarpato le ali a un movimento che nonostante tutto è stato il più longevo tra i vari Sessantotto del mondo».

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