30 maggio 2009 La INNSE di Lambrate. Appunti di una storia di lotta

Questo è un documentario sulla lotta della INNSE girato Silvia Tagliabue

Tratto dal documentario sulla lotta della INNSE di Silvia Tagliabue (per contatti: silvia.tagliabue@yahoo.it).
La INNSE di Lambrate è una fabbrica di meccanica pesante, l’ultimo baluardo produttivo di quel grosso polo industriale che è stata la Innocenti di via Rubattino, a Milano. Lì si producevano le famose Lambrette e vi lavoravano 3mila operai. Poi, con le progressive ristrutturazioni e chiusure, la via si è trasformata in una lunga infilata di fabbricati abbandonati, tra i quali sopravviveva, appunto, l’INNSE. Il proprietario Silvano Genta ha deciso di chiudere la fabbrica e lo scorso 31 maggio i suoi 49 operai hanno ricevuto una lettera che apriva la procedura di mobilità. Neanche la RSU era stata avvisata. Non c’è voluto molto per decidere che cosa si doveva fare: la notte stessa tutti i lavoratori sono entrati nella fabbrica e l’hanno occupata presidiandola giorno e notte. Per tre mesi hanno portato avanti la produzione lavorando da licenziati, senza intascare nulla, per consegnare ai clienti i pezzi che erano in corso di lavorazione e per dimostrare a tutti che il lavoro c’è, le macchine funzionano, e che quello che fa la INNSE e i suoi operai è una produzione di pregio. Tanto è vero che un cliente, il Gruppo Ormis di Brescia, ha dichiarato alla stampa e alle istituzioni di essere interessato a rilevare l’azienda triplicando il numero dei lavoratori. Eppure: la trattativa non è per ora andata in porto e non si è fatto nulla per agevolarla, anzi. Il fatto è che tutta l’area di via Rubattino è interessata da un Programma di Riqualificazione Urbana (P.R.U.) del Comune di Milano che prevede un’area residenziale, un business park, il Palazzo di Cristallo, un distaccamento della Facoltà di Farmacia e un Grande Parco Urbano, intitolato, ironia della sorte, proprio alla Lambretta. Oltre al Comune, gli interessi in campo sono quelli dell’immobiliare AEDES proprietaria dell’area su cui sorge l’INNSE – in grave dissento finanziario e pertanto ansiosa di far cassa – e dello stesso padrone Silvano Genta, che ha acquistato la fabbrica dall’amministrazione controllata per soli 700mila euro e vuole ora smantellarla per rivendere le macchine. A settembre gli operai sono stati sgomberati dalla fabbrica e hanno occupato una portineria abbandonata davanti ai cancelli. Da allora tengono un presidio giorno e notte per impedire al padrone di entrare in officina per portarsi via il macchinario. La loro speranza è che le istituzioni locali creino le condizioni affinché l’imprenditore che si era dimostrato interessato a comprare la INNSE sia messo nelle condizioni di farlo.
Il caso INNSE mi è sembrato da subito molto interessante, perché vi sono tutti gli elementi che ne fanno un simbolo di una certa politica del territorio, che ha portato al progressivo smantellamento del sistema industriale milanese, favorendo le speculazioni edilizie, la devastazione dell’ambiente, il primato del commercio sulla produzione. E il fatto che, in tempo di crisi, si stia chiudendo una fabbrica che di lavoro ne ha, rende tutto ancora più grave. Ho quindi preso contatto con uno degli operai e ho iniziato ad andare al presidio, condividendo pasti, chiacchierate, partite a carte, cercando di documentare fotograficamente cosa significhi portare avanti una lotta di questo tipo. L’organizzazione di un presidio permanente è complessa e faticosa e richiede sacrifici da parte di tutti. Operai e impiegati compreso l’ingegnere – si sono rimboccati le maniche e hanno messo in piedi una vera e propria comune in autogestione, con assegnazione dei turni per dormire, spaccare la legna, comprare il cibo e tenere puliti gli spazi. Così, l’aspetto umano della lotta ha preso il sopravvento sul mio modo di guardarla. Mi sono resa conto che ciò che rende possibile questa resistenza, nel bel mezzo di una Milano da tempo sorda alle istanze sociali, è l’unione e la determinazione dei lavoratori, altre al carisma di chi li rappresenta, ovvero i due delegati sindacali della INNSE. Un legame così saldo è cosa rara da vedere, soprattutto per una persona della mia generazione, la cui esperienza del lavoro si caratterizza come un attraversamento di luoghi dove si stringono relazioni momentanee e si assumono ruoli multipli e poco definiti. Quando gli operai mi chiedono chi sono e che mestiere faccio, fatico a dare una risposta chiara. Per loro è diverso, mi rispondono sono tornitore, sono dentatore, sono gruista. E soprattutto: sono operaio. Alcuni di loro sono colleghi da trentanni e di lotte insieme ne hanno fatte tante. Hanno visto chiudere un capannone dopo l’altro, per cui le vicende di questi giorni, come gli scontri con la polizia del 10 febbraio, sono solo un altro capitolo di questa lunga lotta. 
Mi auguro che una volta tanto Milano si schieri a favore del lavoro. Io da parte mia, mi sono concentrata sull’osservare, imparare e cercare di lasciare una piccola traccia di questa storia.

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