15 gennaio POSA DI 3 PIETRA DI INCIAMPO* NEL MUNICIPIO 3 IN MEMORIA DI EUGENIA CUZZERI, EMILIA LEHMANN, ROBERTO LEPETIT

Eugenia CUZZERI CANAVIDA Nasce a Verona il 9 settembre 1880 da Marina Marini e Cuzzeri Cesare Gerolamo.
Sposa Giuseppe Caminada e ha 7 figli: Gioconda, Giuseppe, Amelia, Micaela, Elisa, Arturo e Renata.
A seguito dei bombardamenti sulla città, con i due figli minori si rifugia ad Intra.
Il 26 aprile 1944 è arrestata a Milano, perché ebrea, e trasferita nel campo di Fossoli. Da qui il 16 maggio 1944 è deportata ad Auschwitz con il convoglio n. 10 per giunge ad Auschwitz il 23 maggio 1944. Muore nel campo il 31 marzo 1945.

In sua memoria il 15 gennaio 2020 è stata posata una pietra d’inciampo in via della Sila 27.

 

Frieda Emilia Alisa LEHMANN Nasce a Quarto dei Mille (GE) il 2 ottobre 1914. da Luisa Forti e Sigfried Lehmann.
A 8 anni Emilia e la sorella Isolde restano orfane della mamma.
Il padre si trasferisce a Milano e trova lavoro, come ingegnere, alla Breda.
Nell’autunno 1943 Frieda cerca rifugio a Cernobbio nella villa di conoscenti, la famiglia Targetti, che dava assistenza a quanti progettavano la fuga in Svizzera. Frieda intende raggiungere la Spagna con il fidanzato, Salvatore Nacmias, ebreo, di nazionalità spagnola.
Il 1° dicembre 1943 entrambi sono arrestati a Luino (Varese) e incarcerati a Como.
Il 4 gennaio 1944, Salvatore viene rilasciato e non mantiene la promessa di matrimonio che avrebbe garantito la salvezza a Frieda che è deportata a Fossoli. Da li, Con il “Trasporto 27”, il 22 febbraio 1944 è deportata ad Auschwitz dove arriva il 26 febbraio. E’ probabile che non abbia superato la selezione iniziale ed è inviata alla camera a gas.
In sua memoria 15 gennaio 2020 è stata posata una pietra d’inciampo in Via Malpighi 4.

Roberto Enea LEPETIT Nasce a Lezza d’Erba (CO) il 29 agosto 1906, da Bianca Moretti ed Emilio Lepetit. All’età di tredici anni muore il padre, per un attacco di appendicite.
Non ancora ventenne deve abbandonare gli studi per affiancare lo zio nella conduzione dell’impresa di famiglia, prima denominata Lepetit-Dufour e successivamente Ledoga S.A., per la produzione di prodotti chimici e farmaceutici.
Nel 1928, anche lo zio viene a mancare e Roberto Lepetit si trova a dover dirigere l’azienda.
Nel 1929 sposa Hilda Semenza e la coppia avrà due figli, Emilio e Guido.
Il gruppo industriale cresce sia in Italia che all’estero collocandosi tra le più importanti aziende italiane del settore. Nel 1930 è iscritto al PNF, ma solo per necessità professionali: in realtà non nasconde ad alcuno la sua avversità al regime e vede con soddisfazione la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Dopo l’8 settembre 1943 prese contatto coi partigiani e gli ex prigionieri di guerra della zona di Garessio, rifornendoli di viveri, armi e munizioni. Mentre a Milano fornisce al Comitato di Liberazione denaro e medicinali.
A Milano si era rifugiato nel maggio del 1944 e con Giovanni Tolleri stava organizzando una rete di radio clandestine nelle principali città del Nord.
Sia la polizia della Repubblica di Salò che la polizia tedesca cominciano a controllarlo.
Il 29 settembre 1944 è arrestato dalle SS, in seguito a delazione, in ufficio a Milano e condotto a San Vittore.
Il 17 ottobre 1944 è inviato a Bolzano e il 20 novembre con il “Trasporto 104” al campo di Mauthausen, matr. 110300. E’ in quarantena sino al 4 dicembre e poco dopo trasferito al campo di Melk; e, infine, l’11 aprile 1945, a quello di Ebensee (Austria). Sopraffatto da fatica e denutrizione muore il 4 maggio 1945, il giorno prima della liberazione del campo.

In sua memoria 15 gennaio 2020 è stata posata una pietra d’inciampo in via Benedetto Marcello 8.
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* La pietra d’inciampo è un blocco di pietra delle dimensioni di un sanpietrino, sopra il quale è posta una targa in ottone 10×10 centimetri in cui sono incisi nome, cognome, data di nascita, giorno e luogo di deportazione e data di morte (se conosciute) delle vittime della persecuzione o dello sterminio nazista. Si trovano davanti alle case in cui abitavano le vittime del nazismo o nel luogo in cui vennero fatte prigioniere.

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