11 dicembre PRIGIONIERI DELLA GUERRA (1914 -1918) e CHARLOT SOLDATO

Il Circolo Arci 26PER1 – Offensive Democratiche, in collaborazione con il Consiglio di Zona 3 presentano, per l’ultima serata del cineforum E il ritorno per molti non fu, due film

Auditorium della biblioteca
via Valvassori Peroni, 56
ingresso libero

PRIGIONIERI DELLA GUERRA (1914-1918)
di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi
Durata 64’ – (1995)
20141211TRAMA

Il fìlm è composto da materiali cinematografìci della prima guerra mondiale, raccolti negli archivi dei grandi imperi che si fronteggiarono: in prevalenza quello zarista e quello austro-ungarico. Nel lavoro vengono contrapposti i film-rapporto prodotti dai comandi militari sulle condizioni dei prigionieri di guerra, degli orfani, dei profughi (donne e bambini) e dei caduti con eventi speculari filmati dalle “camere nemiche” ai margini delle battaglie trasformati in film di propaganda.

 

 

 

20141211 1918 charlot_soldat-2

CHARLOT SOLDATO
di Charlie Chaplin
durata 35′ (1918)

TRAMA
Charlot è una recluta che ha un sogno: quello di andare in missione tra le linee nemiche e diventare un eroe. La Prima Guerra Mondiale è in corso. Tra i soldati al fronte c’è anche Charlot che naturalmente pensa più a salvare la pelle che a combattere il nemico. Nonostante questo cattura da solo l’imperatore di Germania. Ma è solo un sogno…

COI PIEDI NEL FANGO

Allo scoppio del primo conflitto mondiale è l’evoluzione della armi da fuoco a mutare radicalmente la natura stessa della guerra: la precisione e la potenza di bombarde, mitragliatrici e fucili a ripetizione rendono obsolete le strategie prevalenti, come i grandi assalti frontali, e portano all’affermazione di quelle che diventeranno praticamente il simbolo, quasi l’as­sioma, del grande massacro iniziato nel 1914: le trincee.
Anche se qualche pre­cedente è rintracciabile nella guerra civile americana, nella guerra di Crimea e in quelle balcaniche, è la prima volta che centinaia di migliaia di soldati, quotidianamente e per anni, vivono e muoiono in budelli o cunicoli, dietro mu­retti di pietra o sacchetti di sabbia rintanati, nei migliori dei casi, in bunker di cemento armato. Fronteggiano un nemico le cui trincee spesso distano spesso solo poche decine di metri, in una distesa chiamata terra di nessuno, fatta di crateri, cadaveri o feriti .
Dentro le trincee le possibilità di sopravvivenza erano molto basse. Ai tiri di artiglieria – la causa principale di morte e di ferite devastanti – si sommavano i gas asfissianti e i proiettili dei cecchini. Senza contare che il fischietto degli ufficiali annunciava l’attacco alle postazioni nemiche, dal quale pochi torna­vano.
L’assistenza medica era rudimentale: non esistevano antibiotici e anche ferite relativamente lievi potevano evolvere in setticemia.
Secondo alcuni studi, i proiettili rivestiti in rame (o in leghe di questo metallo) provocavano ferite meno suscettibili di sviluppare sepsi rispetto ai proiettili con rivestimenti diversi. I medici militari del­l’esercito tedesco verificarono che il 12% delle ferite alle gambe e il 23 di quelle alle braccia avevano un esito letale. Nell’ esercito americano il 44% dei feriti morì in seguito a setticemia.
Per i feriti al capo la possibilità di sopravvivenza era nulla per quelli al ventre era dell’1%.
Tre quarti delle ferite era provocata dalle schegge dei proiettili dell’arti­glieria. Si trattava di lesioni spesso più pericolose e più cruente di quelle provocate dalle armi leggere. L’esplosione di una granata provocava una pioggia di schegge che, penetrando nella ferita, rendevano molto più probabili le infe­zioni.
Altrettanto micidiale era lo spostamento d’aria provocato dall’esplosione.
In aggiunta ai danni fisici vi erano quelli psicologici. I soldati sottoposti a un bombardamento di lunga durata (sulla Somme il bombardamento preparatorio bri­tannico durò una settimana) soffrivano spesso di sindrome da stress post-traumatico (in Italia, per indicare le persone colpite da questa sindrome, si usava l’espressione scemo di guerra).
A questi rischi si aggiungevano quelli legati alle pessime condizioni igieniche e alla cattiva alimentazione, che si traducevano in dissenteria, tifo, colera, affezioni da parassiti, febbri. O a patologie come il “piede da trincea”, una ma­lattia causata da freddo, umidità e scarsa igiene, che se non trattata poteva portare all’amputazione.
Gli unici rimedi a questa vita disperata furono: il ricorso all’alcol, le lettere da casa e le scarse licenze.

Questa voce è stata pubblicata in Auditorium, Cineforum e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento