Il Circolo Arci 26PER1 – Offensive Democratiche, in collaborazione con il Consiglio di Zona 3 presentano
Auditorium della biblioteca
via Valvassori Peroni, 56
ingresso libero
LA GRANDE ILLUSIONE
di Jean Renoir
Interpreti: Pierre Fresnay, Jean Gabin, Marcel Dalio, Erich von Stroheim, Dita Parlo
Durata 114’ – (1937)
ore 21.00
TRAMA: Il capitano de Boeldieu e il tenente Marèchal, ufficiali dell’aviazione francese, vengono abbattuti col loro aereo durante un’operazione e fatti prigionieri dai tedeschi. Dopo qualche mese trascorsi in un campo di prigionia, in un clima di cordiale rispetto tra le parti e non prima di aver progettato qualche piano di fuga, i due vengono trasferiti insieme al tenente Rosenthal nella fortezza di Wintesborn comandata dal Maggiore von Rauffenstein. Nonostante il rapporto di umana comprensione che si instaura tra carcerieri e carcerati, il pallino di questi ultimi rimane sempre la fuga. Sarà grazie al sacrificio di de Boeldieu Marèchal e Rosenthal riusciranno a fuggire e …
DALLA TERRA ALLA GUERRA : UN ESERCITO DI CONTADINI
Tra il 1915 e il 1918 nell’esercito italiano furono arruolati 5.900.000 uomini, pari a circa 1/6 dei 36 milioni di persone che componevano la popolazione italiana (secondo il censimento del 1911). Se alla cifra complessiva dei mobilitati si sottraggono: 700 mila esonerati o dispensati; 150 mila arruolati in marina; 160 mila destinati alla produzione industriale; 600 mila della milizia territoriale, i soldati impegnati nel conflitto furono circa 4.500.000. Ma chi erano? Le statistiche sulla composizione sociale dell’esercito non sono particolarmente dettagliate. Ma con buona sicurezza si può affermare che per la maggiore parte erano contadini questo perché la maggiore parte degli italiani in quegli anni era impegnata nei lavori della terra. Dal censimento del 1911 risulta che il 58% della popolazione era occupata nell’agricoltura; il 23,7% nell’industria e il 18% nel settore che oggi chiamiamo terziario. Secondo le stime riportate da Antonio Gibelli nel suo La grande guerra degli italiani (Bur Storia, Rizzali, 2007), «I lavoratori agricoli fornirono 2.600.000 uomini, pari al 45% del totale dei richiamati [..] Stando a un rilevamento effettuato nel 1918, i lavoratori della terra costituivano il 58% dei lavoratori dipendenti richiamati [..] mentre gli “operai diversi e non qualificati” costituivano il 14,3%, gli “artigiani” il 13,7%, gli “operai delle industrie e del commercio l’11,5%, infine gli impiegati il 2,5%».
Il corpo prevalente di destinazione per questi soldati contadini fu la fanteria, cioè quello più falcidiato dalle perdite, stando alle pensioni di guerra calcolate nel 1926: 677 mila uomini. Il contributo di vittime della popolazione rurale è confermato da altri dati riportati da Gibelli: «Da un’indagine pubblicata nel 1920 risultava ad esempio che il 64% degli orfani di guerra erano figli di contadini, contro il 30% di figli di operai, il 3,3% di figli di imprenditori e commercianti e il 2,7% di figli di professionisti e impiegati». Anche se, come sottolinea Gibelli, «confrontando queste percentuali con quelle della popolazione attiva al 1911, si vede che le perdite contadine non furono proporzionalmente maggiori rispetto a quelle degli altri lavoratori» .
Il che non toglie che i contadini furono l’anima dell’esercito e, soprattutto, la sua carne da cannone. Una verità sulla quale si è esercitata a lungo una certa retorica interessata a creare un clima di artificiosa contrapposizione tra classi sociali. Come scrive ancora Gibelli, «I valori del ruralismo erano quelli che meglio si accordavano col paternalismo autoritario della classe dirigente. Esaltare il sacrificio paziente e la rassegnata sottomissione dei lavoratori della terra era anche un modo per censurare i comportamenti combattivi del moderno proletariato operaio, la sua smania di organizzarsi e di lottare per conquistare condizioni migliori di vita rompendo gli argini della deferenza e del paternalismo, le sue simpatie per il socialismo. Tra “fanti-contadini” e “operai-imboscati” fu costruita artificialmente una contrapposizione che mirava a dividere le classi subalterne e a dirottare su obiettivi pretestuosi il loro prevedibile risentimento per i sacrifici cui erano sottoposte».