Il Consiglio di Zona 3 in collaborazione con il Circolo Arci 26PER1 – Offensive Democratiche, presenta:
ORIZZONTI DI GLORIA
di Stanley Kubrick
con K. Douglas, A. Menjou, R. Meeker, G. MacReady, S. Christian. 87’ – (U.S.A., 1957)
ore 21.00
Auditorium della biblioteca
via Valvassori Peroni, 56
UNA GUERRA DIVERSA
Almeno fino al 1915, in tutti i paesi belligeranti dominava la convinzione che il conflitto sarebbe stato molto breve. Pur nella diversa concezione dei piani approntati, la rapidità delle campagne militari e i repentini cambiamenti di fronte che avevano caratterizzato le guerre dell’Ottocento dominavano la concezione strategica delle alte sfere militari. E, inizialmente, lo svolgersi delle operazioni militari – come la penetrazione tedesca attraverso il Belgio fino alla Marna – sembrò avvalorare questi convincimenti. Ma presto la situazione mutò, sino a trasformarsi in quella guerra di posizione, o di trincea, che si protrasse fino alla fine del 1917 e che da allora contraddistingue per definizione il primo conflitto mondiale. Una guerra di logoramento che presuppone un enorme consumo di risorse e, soprattutto, di uomini.
A svolgere un ruolo determinante in questo cambiamento è lo sviluppo delle armi, che impedisce agli uomini di superare le barriere approntate dal nemico. I fucili sono dotati di caricatori da dieci colpi e possono tirare fino a un chilometro e mezzo di distanza (solo cento anni prima, nella battaglia di Waterloo, l’ultima grande battaglia combattuta sul suolo europeo, la capacità era di due/tre colpi al minuto, con un tiro utile di 150 metri), le mitragliatrici sparano 400/500 colpi al minuto, le artiglierie diventano sempre più precise e aumentano di calibro proprio per svolgere la funzione di martellamento delle postazioni nemiche.
In queste condizioni è impossibile avanzare all’aperto, e quando accade si è co stretti a scavare immediatamente nuove trincee e ad approntare protezioni. A tutto ciò vanno aggiunti i profondi sbarramenti di filo spinato, le bombe a mano, i colpi precisi dei cecchini.
Ma allo scoperto bisogna andarci. Perché l’altra faccia della guerra di posizione è l’assalto alle postazioni nemiche, in un susseguirsi di attacchi e contrattacchi, di ondate che potevano anche durare mesi. L’attacco era sempre preparato da un fuoco di artiglieria, comunque insufficiente a distruggere reticolati e trincee nemiche, dopo il quale la fanteria attaccava in formazioni compatte, sotto il fuoco delle mitragliatrici e dei cannoni. Così, come scrivono Mario Isnenghi e Giorgio Rochat in La grande guerra 1914-1918 (La Nuova Italia, 2001), le offensive consistono «soltanto in una successione di attacchi frontali, settore per settore, ripetute fin quando le truppe non crollano».
Un massacro che le alte gerarchie militari teorizzano e praticano in modo generalizzato. In base a una strategia il cui sicuro insuccesso viene spesso addebitato alla viltà della truppa. Perché non sono i generali a sbagliare, ma gli uomini a non eseguire gli ordini. Anche se si tratta di ordini folli come quelli impartiti da Cadorna , così sintetizzati da Lorenzo del Boca: «Avanti a testa bassa , sempre e comunque. La corsa contro il nemico doveva essere tumultuosa e irruente per demoralizzarlo , con l ‘irresistibile movimento in avanti. Secondo lui , l’andare in avanti costringeva il difensore ad appiattirsi e a tirare alto. Certo , non si poteva escludere che l’avversario colpisse per il verso giusto: in questo caso? “Bisognava sottrarsi all’offfesa “. Come? “Andando avanti con maggiore celerità ..! “. Fermarsi e gettarsi a terra sarebbe stato un gravissimo errore: “Equivaleva a rimanere sotto la percossa del fuoco”, aumentando la propria vulnerabilità. Perciò di corsa , in faccia al nemico».