Dalle ore 18 alle ore 19.30
al primo piano della biblioteca
Si riunisce il Gruppo di lettura Via col libro
per parlare del libro di
Doris Lessig
Il sogno più dolce
Di seguito riportiamo alcune schegge del libro
A CASA LENNOX: JULIA E TILLY-SYLVIA
Il pallido sole di novembre filtrava nella stanza di fronte a loro, dove una figura esile e diritta con un’aureola di capelli chiari, avvolta in un indumento rosa di foggia antiquata – una veste da camera? – era appollaiata su un alto sgabello. Se Philip avesse posato gli occhi su quella visione come sarebbe stato facile convincerlo che quella era la piccola Julia, il suo amore di un tempo. Sul letto, infagottata nella sua copertina da neonato, Tilly era sostenuta dai cuscini, e guardava la vecchia col suo sguardo fisso.
“No,” la voce di Julia era precisa e distaccata, “no, tu non ti chiami Tilly. E’ un nome molto stupido. Qual è il tuo vero nome?”
“Sylvia” disse la ragazza, con la sua pronuncia blesa.
“E allora perché dici che ti chiami Tilly?”
“Quando ero piccola non riuscivo a dire Sylvia, e così dicevo Tilly.” Erano più parole di quante gliene avessero sentite pronunciare tutte insieme da quando era arrivata.
“Benissimo. Io invece ti chiamerò Sylvia.”
Julia teneva in mano un tazzone di qualcosa con dentro un cucchiaio. Adesso con grande eleganza e destrezza, fece in modo che una quantità adeguata del contenuto del tazzone – si sentiva un odore di zuppa – riempisse in cucchiaio, poi lo accostò alle labbra di Tilly, o Sylvia. Che erano ermeticamente chiuse.
“Senti, ascoltami bene. Non lascerò che tu ti uccida solo perché sei una sciocca. Non te lo permetterò. E adesso apri la bocca e mangia.”
Le labbra esangui tremarono un attimo, ma si aprirono, e per tutto il tempo la ragazza fissò Julia, come ipnotizzata. Il cucchiaio fu inserito, e il contenuto scomparve. Gli spettatori aspettarono, senza fiato, per vedere se c’era un movimento di deglutizione. Ci fu.
Frances chinò gli occhi su suo figlio e vide che stava deglutendo anche lui, in sintonia. […]
Gli osservatori quasi non osavano respirare, perché quello era un momento critico, era chiaro. E se Tilly-Sylvia avesse rifiutato la tazza con la zuppa vivificante, e si fosse di nuovo infilata il pollice in bocca? E se avesse stretto ermeticamente le labbra? Julia premeva la tazza contro la mano che non era aggrappata alla copertina. “Prendila.” La mano tremò, ma si aprì.
CUCINA DEI LENNOX: IL “COMPAGNO” JOHNNY
“A quanto pare la vocazione di Frances è più che altro quella di dare consigli sui problemi familiari” disse Johnny, e, per chiuderla una volta per tutte con quelle sciocchezze, alzò la voce, rivolgendosi ai ragazzi: “Voi siete una generazione fortunata” disse. “Costruite un mondo nuovo, voi giovani compagni. Voi avete la capacità di vedere oltre tutte le vecchie mistificazioni, le bugie, le illusioni… voi potrete ribaltare il passato, distruggerlo, ricostruire tutto… questo paese ha due aspetti essenziali. Da una parte è ricco, con un’infrastruttura solida e radicata, mentre dall’altra è pieno di ottusità e di conservatorismo. Sarà questo il problema. Il vostro problema. Io vedo già l’Inghilterra del futuro, libera, ricca, quando la povertà sarà scomparsa e l’ingiustizia sarà solo un ricordo…”
Andò avanti così per un po’, ripetendo quelle esortazioni che risuonavano come promesse. […]
Tutte quelle giovani facce, quei giovani occhi splendevano, adoranti, affascinati da lui e da quello che stava dicendo. Jonnhy era nel suo elemento, assorbiva la loro ammirazione. Eccolo lì, nella posa di Lenin, una mano puntata avanti verso il futuro, e l’altra stretta a pugno sul cuore.
“E’ un grand’uomo” concluse a voce bassa, con reverenza, fissandoli severi. “Fidel è davvero un grand’uomo. Ci sta guidando tutti verso il futuro.”
IN UN ALBERGO DI CAMPAGNA: FRANCES E HAROLD (UN VECCHIO “COMPAGNO”)
“Oh, Frances, non so se tu hai mai avuto un sogno che non ti saresti mai sognata di poter realizzare… ecco, per me quel sogno si è realizzato stanotte”.
Lei stava pensando a se stessa allora, appesantita, preoccupata, con i bambini piccoli sempre attaccati, sempre addosso, che la afferravano, si arrampicavano su di lei, litigando per sedersi sulle sue ginocchia. “Chissà cosa vedevi in me, vorrei proprio saperlo.”
Lui rimase zitto per un momento. “Era tutto quanto. Johnny, allora lui era un eroe per me. E tu eri la moglie di Johnny. Eravate una coppia incredibile, io vi invidiavo, invidiavo Johnny.
Quello che aveva ascoltato non gli piaceva, no, non gli piaceva affatto, e lei rimase lì sdraiata in silenzio al suo fianco, ancora abbastanza in simbiosi con lui per sentirsi ferita, perché così si sentiva lui. “E i bambini… io non avevo ancora avuto figli. Volevo essere come voi.”
“Come Johnny.”
“Non posso spiegarti. Voi per me eravate come una specie di… Sacra Famiglia” rise e si tirò su sventolando le gambe, poi si sedette sul bordo del letto, stirando le braccia al chiarore lunare che entrava nella stanza e disse: “Tu eri meravigliosa. Calma… serena… niente sembrava turbarti. E io mi rendevo conto che Johnny non era esattamente la persona più facile… Guarda che non lo sto criticando.”
“Perché no? Io sì, invece.” Aveva davvero intenzione di distruggere questo sogno… no, non poteva. Oh, sì, sì che poteva. “Avevi idea di quanto io odiassi Johnny allora?”
“Be’, certo, capita a tutti di odiare le persone che amiamo, qualche volta. Jane… ogni tanto anche lei era una belle piaga.”
“Johnny era costantemente una piaga.”
“Johnny era un eroe!” […]
Ci fu un lungo silenzio assonnato: fuori era già giorno fatto, faceva caldo e il traffico era cominciato.
“Insomma, tutto questo per niente” disse lui alla fine. “Erano tutte… bugie e assurdità.” Sentì le lacrime nella sua voce. “Che spreco. Tutti quegli sforzi… tutta quella gente uccisa, per niente. Brava gente. Nessuno mi convincerà che non lo fosse.” Silenzio. “Non voglio certo vantarmene, ma ho fatto tanti di quei sacrifici per il Partito. E tutto per niente.” […]
E così rimasero sdraiati l’uno accanto all’altra, e se lui stava rinunciando ai suo sogni, e che sogni, che sogni dolci, lei pensava: che persona egoista sono, proprio come diceva sempre Johnny. Harold sta pensando al futuro dorato della razza umana, un futuro rinviato a tempo indeterminato, e io invece sto pensando a quello che ho chiuso fuori dalla mia vita. Il dolore che le provocava questo pensiero era insopportabile. Il peso dolce e caldo di un uomo che dormiva tra le sue braccia, la sua bocca sulla sua guancia, la pesantezza tenera dei testicoli nella sua mano, la sensazione deliziosa, scivolosa di…
“Scendiamo a fare colazione” disse lui. “Altrimenti credo che mi metterò a piangere.”
CASA LENNOX: FRANCES E IL SUO FIGLIO MINORE, COLIN
“Non è una questione personale” disse lui. “Ma ho riflettuto. E’ la tua generazione. Siete tutti voi.”
“Ah” disse Frances, sollevata che lui avesse scelto il terreno consueto dei principi astratti.
“Volete per forza salvare il mondo. Il paradiso sempre all’ordine del giorno.”
“Stai confondendo me con tuo padre.” Poi decise di attaccare anche lei. “Non ne posso più. Sono sempre chiamata in causa per le malefatte di Johnny.” Considerò il termine per un attimo. “Sì, le malefatte. Ormai possiamo anche permetterci di chiamarle così.”
“E quando non avremmo potuto permettercelo, scusa? E sai una cosa? Ho letto con i miei occhi sul Times quello che ha detto: sì, sono stati fatti degli errori.”
“Sì. Ma non sono stata io a commettere quelle malefatte, e nemmeno a giustificarle.”
“No, ma sei lo stesso una di quelli che vogliono salvare il mondo. Proprio come lui. Tutti voi lo siete. Che presunzione avete tutti quanti. Sai una cosa? Siete sicuramente la generazione più presuntuosa, più boriosa che sia mai esistita.” Continuava a sorridere: si stava godendo il suo attacco, ma allo stesso tempo si sentiva in colpa. “Johnny sempre a fare i suoi comizi e tu a riempire la casa di figli di nessuno.”
ST LUKE’S MISSION A KWADERE, ZIMLIA, AFRICA: SYLVIA
L’Africa, quell’Africa meravigliosa che la opprimeva con tutte le sue necessità, che aveva bisogno di tutto, e ovunque bianchi e neri che lavoravano tanto per… ma per cosa? Per mettere un piccolo cerotto su una vecchia ferita che non smetteva di sanguinare. Dopo tutto era questo che stava facendo anche lei, come tutti gli altri.
Sylvia aveva la sensazione che la parte più autentica di lei, la sua essenza, i fondamenti della sua fede, stessero scorrendo via in quel preciso momento. Un tramonto, il sole che calava come durante la stagione delle piogge… all’orizzonte infuocato, da una nuvola bassa e nera, esplodevano raggi densi, compatti, come le aste dorate che si irradiano intorno alla testa dei santi. Si sentiva sbeffeggiata, come se un ladro intelligente la stesse derubando di qualcosa, deridendola mentre lo faceva. Che cosa ci faceva lì? Stava davvero facendo del bene a quella gente? E soprattutto, dov’era quella fede innocente che l’aveva sostenuta quando era arrivata qui per la prima volta? In che cosa credeva davvero? In Dio, sì, avrebbe potuto rispondere così, a patto che nessuno si aspettasse da lei definizioni precise. Aveva subito una conversione con tutti i sintomi classici, come un attacco di malaria, e si era convertita alla fede: così la chiamava padre McGuire, ma lei sapeva che tutto era cominciato a causa dell’ascetico padre Jack, quando si era innamorata di lui, che se a quel tempo avrebbe giurato di amare Dio. Di tutta quella impavida certezza non era rimasto nulla, e lei ormai sapeva solo che doveva fare il suo dovere qui, in questo ospedale, perché il destino l’aveva condotta quaggiù.
Il suo stato mentale si poteva anche descrivere in termini clinici: ed era così che veniva descritto in centinaia di testi di carattere religioso. I medici della fede le avrebbero detto: non preoccuparti, non è niente, la stagione arida arriva per tutti.
Ma lei non aveva bisogno di specialisti dell’anima, non aveva bisogno di padre McGuire, poteva giungere da sola ad una diagnosi. E allora a che cosa le serviva una guida spirituale, visto che non aveva intenzione di interpellarla, conoscendo già la risposta?
Ma la vera domanda era questa: perché per padre McGuire sarebbe stato così semplice parlare di “stagione arida”, ma per lei equivaleva a una sentenza di autoscomunica? Quello che l’aveva portata alla conversione era un cuore affamato e bisognoso, e anche la rabbia, anche se fino a poco tempo prima non l’aveva mai ammesso.
KWADERE: SYLVIA E PADRE MCGUIRE
Sylvia, era chiaro, era sul punto di piangere, e il prete se ne rese conto. Si avvicinò a una credenza e tornò con due bicchieri e una bottiglia di buon whisky, che aveva portato lei da Londra. Ne versò una dose generosa per entrambi, le fece cenno con la testa e vuotò il bicchiere. […] Sylvia ne prese un sorso. “Spesso ho pensato che potrei benissimo diventare un’alcolizzata.”
“No Sylvia, non credo proprio.” […]
“Un altro giorno passato senza aver concluso niente” disse Sylvia. “Senza aver cambiato niente.”
“Ah, dunque anche tu dopo tutto fai parte di quelli che vogliono cambiare il mondo.”
Questa osservazione toccava un punto dolente. Le venne da pensare: forse ho assorbito tutte le sciocchezze di Johnny, e mi hanno rovinata per sempre. “Com’è possibile non volerlo cambiare?”
“Hai ragione, com’è possibile? Ma volerlo cambiare con le proprie mani… no, in questo c’è qualcosa di diabolico.”
“Chi potrebbe non essere d’accordo, dopo quello che abbiamo imparato?”
“E se tu l’hai davvero imparato, sei stata più brava della maggior parte degli uomini. Ma è un sogno troppo potente per risparmiare le sue vittime.”
“Padre, vuole dirmi che quando era giovane non è mai sceso in strada a urlare e a prendere a sassate gli inglesi?”
“Ti dimentichi che ero un ragazzo povero. Ero povero come alcuni degli abitanti di questo villaggio. C’era solo una via d’uscita per me. Ho sempre avuto una sola strada aperta. Non avevo scelta.”
CASA DI SORELLA MOLLY, ZIMLIA: SYLVIA
Sylvia era a letto, appoggiata ai cuscini, e assumeva le pozioni energetiche di sorella Molly, che in piedi accanto a lei sorrideva con le mani sui fianchi, e la guardava nutrirsi rivolgendole sguardi incoraggianti. […]
Era costretta a riflettere che, anche se nello Zimlia posti come Kwadere esistevano, ed erano troppi, forse le sue esperienze in un certo senso erano limitate, come quelle di chi non può nemmeno immaginare l’esistenza di villaggi simili a quello della St Luke’s Mission. In realtà c’erano scuole dove gli allievi imparavano qualcosa, dove c’erano almeno qualche quaderno e qualche libro, ospedali forniti di attrezzature e chirurghi e persino laboratori di ricerca. Era la sua natura ad averle fatto credere di essere in un posto di una povertà oltre ogni limite: adesso le era chiaro, come il fatto che era assurdo preoccuparsi tanto dei suoi diversi gradi di fede o della sua mancanza di fede.